SOS Pieve di San Vito a Morsasco: un bene culturale bisognoso di restauri

Sono da sempre affezionata alla pieve campestre di San Vito nel piccolo comune alessandrino di Morsasco in quanto questo edificio fu scelto dal mio Prof. Paolo B. Torsello come oggetto per la tesi di specializzazione in restauro dei monumenti di un gruppo di giovani architetti (tra i quali la sottoscritta).

Sono passati molti anni da allora e nel 2014 ebbi modo di riprendere in mano l’edificio per la seconda volta redigendo un progetto di restauro concentrato sulla copertura che prevedeva operazioni localizzate di messa in sicurezzaconsolidamento (mai realizzate, nonostante l’urgenza, per assenza di fondi).

Cercando sul web “San Vito a Morsasco” è possibile imbattersi in molti miei articoli su questa piccola chiesetta, trovare rilievi, mappature, tavole grafiche, fotografie, relazioni. Ho dedicato a San Vito pubblicazioni su riviste di settore (una per tutti Progetto Restauro ed. Il Prato con almeno due numeri), su opere miscellanee e persino il Manuale di recupero del Gal Borba, uno dei miei ultimi sforzi, ha almeno due pagine dedicate a San Vito.

L’edificio è stato inoltre uno dei primi manufatti della nostra zona ad essere stato messo in sicurezza in funzione antisismica nel lontano 2002 (a seguito degli eventi calamitosi del 2001) utilizzando le fibre di carbonio (sull’argomento cfr.,Kimia) dopo essere stato sottoposto ad indagini diagnostiche molto approfondite effettuate da parte del Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Genova sotto il controllo del prof. Sergio Lagormarsino (uno dei massimi esperti della materia).

Oggi, a distanza di oltre 15 anni, vengo a scoprire che l’area a contorno del piccolo edificio sta franando e che questo piccolo gioiello rischia di subire gravi danni nonostante le innumerevoli segnalazioni e il tanto tempo dedicato a studiarlo. Niente di nuovo è la storia che si ripete, quella di San Vito come tante altre emergenze architettoniche che seppure di comprovato valore storico ed artistico continuano ad essere abbandonate…

La bellezza di questo piccolo edificio va anzitutto individuata nella sua specifica ubicazione: alla cima di una collinetta quasi fuori dal paese in prossimità del cimitero ed anche nella sua specifica tipologia architettonica segnata da una pregevole tessitura muraria che caratterizza soprattutto il suo abside (confrontato con modelli importanti presenti sul territorio, persino con quello del Duomo di Acqui Terme).

Un’importante segnalazione meritano poi le sue preziose pitture murali anche queste bisognose di urgenti restauri: vennero messe in sicurezza nel lontanto 2003 (concertando l’intervento con un allora giovanissimo Fulvio Cervini, funzionario storico dell’arte della Soprintendenza, oggi docente dell’Università di Firenze) e da allora sono “sopravvissute” coraggiosamente all’assenza di cura e manutenzione. 

Dedicheremo la parte finale di questo articolo proprio a queste pitture, sperando che questo articolo possa rifocalizzare l’attenzione su questa chiesetta che, nonostante la cura di pochi genorosi, continua a lanciare il suo SOS!


Le pitture murali interne. Affresco dell’emiciclo absidale: Crocifissione, autore ignoto, sec. XV (con il prezioso contributo della dott.ssa Mariacristina Ruggieri)

Ai lati della Croce stanno quattro personaggi per alcuni dei quali l’identificazione presenta qualche problema. Alla sinistra del Cristo stanno la Vergine Maria ed un  Santo laico a cavallo, tradizionalmente riconosciuto come San Vito, titolare della chiesetta campestre; alla destra, uno degli apostoli, fino ad ora individuato come San Giovanni, ha il volto e parte della figura rovinati al punto da non consentirne una certa attribuzione. Accanto a questi, infine, è Sant’Antonio Abate.

A proposito di queste dubbie attribuzioni, va detto che la figura del giovane cavaliere non corrisponde in alcun modo all’iconografia classica di San Vito, solitamente raffigurato come un fanciullo vestito con una corta tunica manicata azzurra e un manto rosso fermato sopra la spalla, secondo la moda romana.
Attributi tipici di questo santo, oltre alla caratteristica palma, è un cane simboli del suo martirio e spesso è accompagnato dalle figure di Santa Crescenza e San Modesto, assieme ai quali venne ucciso.

La riproduzione del cavaliere così com’è rappresentato nell’abside di San Vito, invece, può più facilmente attagliarsi all’immagine di San Vittore (giovane cavaliere abbigliato secondo la moda militare, spesso vestito con un’armatura e gli speroni, privo di elmo, i cui attributi solo la palma e uno stendardo crociato montato su un’asta puntuta), o, come è stato proposto, di San Bovo (raffigurato come un nobile cavaliere chiuso nell’armatura, in arcioni su un cavallo coperto di ferro, senza palma e con un vessillo in asta illustrante un bue). Sia San Vittore che San Bovo godono di una forte devozione popolare nella zona compresa tra Voghera ed Alessandria: a San Bovo è dedicato un altare nella chiesa parrocchiale di Morsasco, ad esempio, mentre le pievi campestre intitolate a Vittore sono numerosissime in tutto il Monferrato.

In considerazione di quanto detto sopra si può ipotizzare che, a Morsasco, il culto tributato a San Vito, per quanto antichissimo, viene a un certo punto confuso e in certo modo incorporato da quello per San Vittore: l’equivoco, attestato già a partire dal XIV secolo, sarebbe stato ulteriormente agevolato dall’affinità fonetica tra i due nomi pronunciati in dialetto («Vito» e «Vitor»). Di conseguenza, il santo a cavallo effigiato a lato del Cristo crocifisso va identificato senz’altro in San Vittore, senza dimenticare, però, che i due santi vengono eguagliati dalla devozione popolare contadina in molti luoghi della regione piemontese.

Per quanto riguarda, invece, l’altra figura d’incerta identificazione, data l’assenza di indicazioni documentarie e la profonda lacuna che le sfigura completamente il volto, la questione è più difficilmente superabile. Innanzitutto, se è vero che il canone iconografico cristiano prevede che, ai piedi della Croce, stiano la Vergine e San Giovanni, va anche detto che la tunica gialla è solitamente attribuita a San Pietro (la cui presenza in questa scena risulterebbe quanto meno anomala), mentre l’Evangelista veste preferibilmente di verde. Inoltre, quest’ultimo è un ragazzo, mentre la capigliatura del santo in esame sembrerebbe canuta, come in realtà dovrebbe essere San Pietro (ma il colore biancastro potrebbe essere semplicemente il risultato di un’alterazione cromatica). La postura aggraziata, infine, con le mani intrecciate sul ventre, è sicuramente più femminea che adatta ad un santo, ma la veste è stretta in vita, secondo la moda maschile (si veda la tunica della Madonna, cinta subito sotto il seno). Ragion per cui, è preferibile accontentarsi dell’attribuzione tradizionale, che riconosce nella figura l’apostolo Giovanni.

Lo sfondo mostra, in lontananza, le mura turrite della città di Gerusalemme, mentre, alla base della Croce, si intravvede un piccolo monticello ed una forma tondeggiante grigiastra che lascerebbe pensare ad un teschio umano, secondo una delle configurazioni più tipiche per questo genere di sacra raffigurazione.
La scena è riquadrata da una doppia cornice ocra e rossa, che probabilmente risolveva le linee principali dell’architettura absidale (tracce d’intonaco colorato permangono negli sguanci a doppia strombatura delle finestre e nella nicchia degli arredi sacri). Da notare è il particolare della parte terminale della Croce, che sovrasta la duplice incorniciatura in un tentativo di sfondamento prospettico verso lo spettatore che, seppure un po’ debole, va messo in considerazione con il livello culturale del suo autore. Questi è un artista di provenienza locale, abbastanza abile nella resa dei panneggi e delle anatomie, soprattutto se confrontato con il mastro artefice della Madonna in trono. Si potrebbe pensare ad una discreta formazione tardo-gotica vicina, però, alla contemporanea pittura lombarda, con qualche conoscenza della produzione pittorica già rinascimentale del Nord Italia. Il Cristo, infatti, così legnoso e patetico, ricorda certamente l’insistita espressività dell’arte medioevale, così come il delicato tappeto erboso su cui poggiano i piedi le quattro figure sacre, ma la cura con cui sono resi i volti e la ricercata naturalità e compostezza delle pose lasciano pensare all’influenza di quanto veniva allora realizzato nelle corti italiane settentrionali, in una direzione di superamento dell’arte gotica. Si notino, ad esempio, gli atteggiamenti contrapposti della Vergine e di Giovanni, con l’effetto, evidentemente voluto, della duplice linea ovata che unisce le mani giunte ai bordi dei manti.
Tutte queste considerazioni, aggiunte al fatto che l’abbigliamento e l’acconciatura di San Vittore fanno riferimento al costume italiano maschile dell’ultimo quarto del XV secolo, e in particolare alla moda militare del tempo (con il farsetto coperto da una corta giornea stretta in vita e i capelli alquanto lunghi ed arricciati), consentono di datare l’affresco con buona approssimazione attorno al 1480.


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