Dalla vallata di Quiliano: la cultura del castagno e degli essiccatoi
Con grande piacere ospito sul mio blog Laura Brattel e Sabrina Rossi autrici di questo interessante articolo sulla coltivazione del castagno e sulla tradizione costruttiva degli essiccatoi, vi invito a leggerlo perché interessante e ricco di belle immagini fotografiche.
Dalla vallata di Quiliano: la cultura del castagno e degli essiccatoi
Dagli antichi Romani, passando per il Medioevo, fino ai giorni nostri.
Un tempo anche a Quiliano, comune savonese, quando la vita contadina era molto più intensa, si sfruttavano maggiormente erbe, piante e frutti.
Tra questi il castagno, diventando una vera e propria cultura per la popolazione; infatti si sfruttavano i frutti per cibarsi, mentre il legno per combustibili, costruzioni navali e per la concia delle pelli.
Pianta dalle molteplici qualità, il castagno, venne importato in Italia in epoca romana. Originario dell’Asia minore, probabilmente deve il suo nome a Kastanis, un’antica città turca che si trova sul Mar Nero.
Furono i Romani a portare la coltivazione del castagno nelle nostre vallate liguri: ghiotti di questo frutto prelibato e ricco di carboidrati, i Romani lo utilizzavano in numerose ricette. Successivamente il castagno si diffuse durante il Medioevo, in particolare dopo l’anno Mille. In questo caso la spinta verso questo tipo di coltivazione venne data soprattutto dai monaci e dai signori del luogo. Il frutto era interessante, poiché si poteva conservare a lungo, grazie a tecniche diverse.
Cominciarono quindi ad essere costruiti gli essiccatoi o seccatoi, detti “tecci” nel nostro dialetto savonese.
In certe zone della Liguria, specie nel levante, i seccatoi erano inglobati nella casa stessa di abitazione, della quale occupavano un ambiente che in qualche modo svolgeva anche funzione di riscaldamento. Da noi a Ponente invece, e nel Quilianese in particolare, si tratta di costruzioni autonome, poste nei pressi della casa di residenza del nucleo famigliare.
Normalmente servivano le borgate rurali boschive, ma talvolta anche una sola casa isolata, e potevano essere usati dall’intera comunità o dalla singola famiglia (non è raro trovare case presso le quali si trovano più essiccatoi, ciascuno di proprietà esclusiva).
Dal XIII secolo in poi molte comunità liguri cominciano a regolamentare per iscritto l’uso dei boschi con la stesura degli Statuti, per cui vi rientrano anche le norme per l’utilizzo dei seccatoi.
Durante il Quattrocento e il Cinquecento la coltura del castagno subisce un ulteriore impulso, grazie all’aumento demografico, per cui queste strutture si moltiplicano.
Ai giorni nostri, purtroppo, molte di esse sono ormai abbandonate e versano in condizioni non sempre ottimali. Tuttavia continuano a parlarci del duro lavoro dei nostri antenati, che con tenacia ed impegno sapevano sfruttare al meglio le risorse del bosco.
Pianta longeva, il castagno può raggiungere i mille anni di vita, che risulta ormai diffusa fino a circa 1000 metri di quota.
Viene coltivato per i suoi frutti e per il legno, infatti le castagne sono ricchissime di amidi; fino a pochi decenni fa rappresentavano un elemento essenziale per molti popoli di montagna e dell’entroterra.
Dalle castagne si ricavava la farina, l’albero del castagno era infatti conosciuto come “albero del pane”, e successivamente si potevano consumare sia fresche, sia essiccate. Il legno viene sfruttato non solo come combustibile, ma anche per tavole, travi, botti, “carasse”, cioè pali da vigna, e per le costruzioni navali.
Ma il legno di castagno oggi viene utilizzato anche per l’estrazione di tannino, sostanza che viene utilizzata nella concia delle pelli. Le foglie, invece, venivano utilizzate come lettiere degli animali, mentre dai fiori si può ottenere il miele. Per la sua importanza utile alla sopravvivenza e i suoi innumerevoli utilizzi ne era nata una vera e propria cultura, indispensabile per la gente di un tempo.
Nel territorio quilianese, in provincia di Savona, si possono trovare ancora antichi essiccatoi per le castagne, come nel bosco delle Tagliate, al Teccio dei Tersé, e in molti altri boschi delle Terre Alte del Quiliano.
Gli essiccatoi sono piccole costruzioni in muratura in pietra, strutturate in due piani separati da un graticcio di legno.
Al piano superiore, sul graticcio, veniva disposto un primo strato di castagne con la buccia; venivano poi rigirate più volte e ogni quattro o cinque giorni veniva aggiunto un nuovo strato di castagne.
Al piano inferiore, invece, veniva acceso un fuoco di frasche con lo scopo di produrre molto fumo e poco calore e controllando costantemente la temperatura.
Questa procedura durava circa trenta giorni; si coprivano poi le castagne con teli e si ravvivava il fuoco per l’essiccamento finale.
Questo però non era l’unico sistema di conservazione della castagna. Esisteva anche la “novena”, ossia l’immersione in acqua fredda corrente per nove giorni di sacchi di iuta contenenti castagne.
Venivano poi fatte asciugare al sole e successivamente pronte per essere consumate. Ma esisteva anche la “ricciaia”, si formava un cumulo di castagne ancora nei ricci su una base di terra battuta. Cumuli che potevano arrivare all’altezza di circa un metro, ricoperti di foglie, terra e inumiditi costantemente.
Le castagne così si riuscivano a conservare anche per mesi.
Per ulteriori approfondimenti vai su Quilianonline clicca qui
Se ti è piaciuto questo articolo, lascia un commento