La valutazione della vulnerabilità di un manufatto deve essere propedeutica al progetto e finalizzata alla conoscenza
Il terremoto che ha colpito il centro Italia lo scorso agosto ha ridotto in frantumi edifici sia vecchi che nuovi, quello che è accaduto è stato un fatto imprevedibile ma i report fotografici che sono stati trasmessi in televisione e pubblicati sul web hanno evidenziato che in taluni casi durante gli interventi di “recupero e/o manutenzione” sono stati commessi errori gravi. Occorre, infatti, sottolineare che in alcuni casi anche la demolizione di una semplice tramezza può rivelarsi un esercizio rischioso, capace di compromettere la stabilità del manufatto.
Più di una volta mi è capitato di visitare vecchie cascine dove i nuovi proprietari sognano di realizzare la casa della loro vita. In genere quando visito queste case cerco di stare in silenzio, ascoltare le esigenze del committente ed osservare attentamente la struttura sia esterna che interna. Questo esercizio di semplice osservazione non è sempre apprezzato dal cliente, impegnato come è a dirmi dove vorrebbe mettere la scala, la cucina o la sala.Se faccio notare la presenza di un soffitto voltato e la difficoltà ad eseguire certe “demolizioni” percepisco un senso di grande fastidio, come a volere impedire la realizzazione del sogno di una vita. Quando sottolineo la bellezza del vecchio pavimento in cotto alcune volte ricevo come risposta “veramente noi avevamo pensato al legno” o se suggerisco di conservare un vecchio intonaco mi viene detto “l’impresario ha detto che è irrecuperabile”. Molti non osservano la struttura che hanno davanti, la stessa che hanno scelto perché evidentemente li aveva affascinati, sognano il risultato finale che vogliono ottenere “ad ogni costo”. Da esperta in materia di recupero mi è capitato molte volte di leggere nella stratigrafia in elevato di un manufatto le numerose trasformazioni che ha sopportato: ampliamenti, demolizioni, intrusioni che ne hanno stravolto la matrice originale e che in alcuni casi hanno portato a nuove condizioni di equilibrio. Per questa ragione ritengo sempre indispensabile studiare con attenzione la struttura sulla quale dobbiamo intervenire, i materiali con cui è stata realizzata, le integrazioni e le aggiunte avvenute nel corso degli anni, i materiali usati “prima e dopo”, l’eventuale presenza di elementi marcescenti, di deformazioni eccessive, l’assenza di catene nelle volte, i capochiavi ammalorati, l’assenza o l’inefficacia degli ammorsamenti, la presenza di nicchie o cavità (all’apparenza nascoste), gli appoggi non idonei, l’assenza di sistemi di controventatura di falda, possibili cedimenti fondali, eventuali connessioni non efficaci con la struttura… Sulla base di tutte queste valutazioni redigo una mappatura dello stato di conservazione e soltanto dopo, sentite anche le esigenze del cliente, inizio a lavorare alla definizione del progetto, valutando la compatibilità delle richieste con le effettive condizioni conservative e strutturali del bene. Non sempre tutto questo lavoro è apprezzato ma soltanto attraverso questo sforzo reciproco (cliente-progettista) è possibile garantire azioni di manutenzione rispettose del manufatto, specie quando questo è già esistente.
[La foto di copertina è dell’ing. Gherardo Gotti]