La chiesa abbaziale di Santa Giustina a Sezzadio nella campagna del Monferrato
La chiesa abbaziale di Santa Giustina di Sezzadio sorge nella campagna del Monferrato, tra Alessandria e Acqui Terme. Edificata, secondo la tradizione, nel 722 dal re longobardo Liutprando, fu completamente rinnovata nel 1030 dal marchese di Sezzadio Otberto al quale si deve anche la decisione di affiancarle un monastero che venne poi affidato ai monaci benedettini. Il prestigio del complesso crebbe costantemente nel tempo raggiungendo l’apice tra l’XI e il XII secolo quando però ebbe inizio la fase di declino: assegnato agli abati di Sant’Ambrogio di Milano vide suddivisi i suoi possedimenti, in epoca napoleonica, tra veterani dell’esercito e, nel 1863, ciò che rimaneva del complesso fu acquistato e restaurato dalla famiglia Frascara che ne fece la propria residenza. La chiesa, a impianto romanico con elementi gotici, rimane la parte più interessante dell’intera struttura. L’interno, coperto con volte a crociera del XV secolo, è suddiviso in tre navate e in due delle tre absidi sono tuttora visibili interessanti affreschi dalla complessa lettura iconografica. Mentre nella piccola abside di sinistra è conservata larga parte di un ciclo dedicato alle Storie della Vergine, nel catino è raffigurato, infatti, il Giudizio Universale con, al centro, Cristo giudice in mandorla circondato dai simboli degli evangelisti e affiancato da alcuni santi tra i quali spicca Santa Giustina. Nel registro inferiore vediamo la resurrezione della carne, la Gerusalemme Celeste (presentata come una città cinta da mura alla quale si accede da una porta presidiata da San Pietro) e l’Inferno (strutturato come un insieme di grotte in cui i dannati sono sottoposti a vari tormenti sotto lo sguardo del Diavolo alato). Una cornice separa il Giudizio Universale dalle sei scene sottostanti con le Storie della Passione: degne di particolare attenzione risultano la scena dell’Inchiodamento alla croce (piuttosto rara nei cicli ad affresco ma più diffusa nelle miniature dei Libri d’Ore), gli angeli recanti la Veronica e l’Ascensione in cui Cristo, sollevatosi a mezz’aria, è insolitamente rappresentato con il capo nascosto da una nube. Il rigore e la coerenza con cui le scene e i vari elementi vanno a comporre questo ciclo hanno indotto gli studiosi a pensare che il fine originario fosse quello di mettere in evidenza, agli occhi dei monaci e dei fedeli, il ruolo centrale di Cristo e della sua Passione sia in relazione al giudizio universale, sia nel processo di redenzione dell’umanità. Benché non siano stati proposti nomi, la critica è concorde anche nel sostenere che si possano riconoscere gli interventi di due o tre maestri differenti attivi in area lombarda, o quantomeno di educazione lombarda, conoscitori della miniatura e anche dell’arte transalpina. Numerosi dubbi si hanno invece sulla datazione: alcuni studiosi sostengono di dover datare gli affreschi alla seconda metà del XIV secolo, altri al secondo decennio del XV secolo.
Questa seconda ipotesi sarebbe supportata non solo da considerazioni stilistiche, ma anche da una iscrizione, andata persa, che identificava in Antonio Lanzavecchia, abate nella prima metà del XV secolo, il committente della decorazione. Ancora insoluto rimane il problema posto dalla costruzione, voluta dal Lanzavecchia tra il 1434 e il 1447, delle volte a crociera che andarono ad occultare almeno in parte la scena dell’Annunciazione strappata dal sottotetto durante i restauri del 1955. Se si accetta infatti l’ipotesi che la decorazione delle absidi risalga al secondo decennio del XV secolo, è necessario interrogarsi sul motivo per il quale l’abate Lanzavecchia, soltanto dieci anni dopo aver commissionato gli affreschi, avrebbe deciso di danneggiarli almeno parzialmente. L’unica spiegazione plausibile è che, all’improvviso, si fosse resa necessaria una ristrutturazione della chiesa a causa di un qualche evento catastrofico come, ad esempio, il terremoto che colpì la provincia di Alessandria nel 1397. Sulla base di questi elementi potrebbe dunque essere plausibile l’ipotesi di datare gli affreschi agli anni immediatamente precedenti il sisma. Rimangono da segnalare infine alcuni frammenti della decorazione originaria della chiesa, risalente all’XI secolo, e, soprattutto, la pregevole cripta a tre navate. Ascrivibile probabilmente alla prima fase della costruzione dell’edificio, essa conserva infatti al suo interno, in perfette condizioni, un pavimento a mosaico di grandi dimensioni che un’iscrizione ricollega espressamente alla committenza del marchese Otberto.