Il degrado dell’ardesia: è sempre possibile conservare?

Il degrado dell’ardesia: è sempre possibile conservare?

La principale forma di degrado dell’ardesia è certamente quella dovuta all’esfoliazione superficiale che tende a sfogliare progressivamente la lastra seguendo la tessitura parallela che la contraddistingue.

Quando l’ardesia è utilizzata come elemento di copertura tende progressivamente a degradarsi in maniera veloce sia perché direttamente esposta all’azione degli agenti atmosferici che perché collocata in posizione inclinata e quindi più favorevole all’azione di esfoliazione.

Ciò nonostante sono interessate dal degrado anche le lastre di ardesia poste in opera in verticale (zoccolature esterne) che nel giro di pochi anni tendono progressivamente a variare di colore (patina grigio-nocciola) per poi avviare il processo di esfoliazione vero e proprio (colore marronastro) che può essere più o meno lento a seconda della pietra e dell’esposizione.

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Galleria fotografica degradi e utilizzi dell’ardesia


Quando conservare e quando valutare la sostituzione puntuale

Occorre premettere che l’ardesia è un materiale con un basso grado di assorbimento e pertanto è molto difficile consolidarla con l’uso di protettivi specifici a ciò si aggiunga il fatto che molto spesso il cd. “effetto bagnato” – che quasi tutti i protettivi lasciano sulle superfici – nel caso dell’ardesia tende a “trasformare” l’immagine invecchiata della pietra facendola apparire una pietra quasi nuova, alla quale non si è abituati e che tendenzialmente porta a non fare apprezzare l’azione di conservazione che si è tentato di avviare.

Tra i principali obiettivi che un buon protettivo dovrebbe garantire vi è anzitutto quello di essere in grado di raggiungere le parti alterate dell’ardesia degradata dove dalla porosità iniziale della pietra sana (circa 2%) si arriva a valori decisamente superiori (10-12%) ravvisabili in una lastra caratterizzata da lamine variamente distanziate; di essere in grado di favorire l’adesione delle lamine distanziate; di penetrare a fondo in ogni microfessura conferendo idrorepellenza alle pareti della pietra; di impermeabilizzare senza impedire la traspirazione umida, consentendo l’eventuale fuoriuscita di acqua in ingresso e, infine, di non alterare il colore originale della pietra evitando il già citato effetto bagnato.

Un’altra considerazione importante da fare è quella di valutare con attenzione l’oggetto da conservare in quanto in presenza di elementi in ardesia scolpiti e di rilevante valenza artistica l’intervento dovrà frenare il degrado per garantire la conservazione mentre in presenza di elementi costruttivi tipici dell’architettura si potrà anche valutare, in presenza di gravi degradi, la sostituzione di singoli elementi che sul piano strutturale assolvono funzione statica.

Si tratta, ovviamente, di due approcci diversi il primo teso alla salvaguardia doverosa dell’opera d’arte mentre il secondo alla sostituzione del manufatto come rinnovamento di una parte dell’edificio, sostituzione motivata dalla garanzia di una migliore funzionalità e sicurezza.

La prassi della “sostituzione” non appartiene però alla nostra tradizione etica legata al restauro che predilige la conservazione di ogni elemento originale, come è giusto che sia, fermo restando che un conto è salvaguardare un elemento decorativo che non assolve alcuna funzione altra cosa è cercare di conservare parti che sono strutturali, in tal senso infatti è quasi sempre ammissibile la sostituzione.


 

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