Il “bernardino” di Aldo Stelladoro nella Chiesa di San Pietro a Felizzano (Al)

Affronto sempre con umiltà ogni cantiere di restauro, consapevole che le cose da imparare sono maggiori di quelle da insegnare.

Il cantiere di San Pietro a Felizzano, ex chiesa parrocchiale posta nel cuore del paese a pochi passi dal Palazzo di Città e dalla splendida Torre dei Cova, è un'esperienza di grande accrescimento sul piano formativo ma anche di continuo confronto con le maestranze che ormai da mesi sono impegnate nel restauro esterno ed interno di questo edificio.

Le previsioni progettuali di recupero delle vecchie pavimentazioni interne sono state disattese a favore del recupero di un'antica pavimentazione in cotto probabilmente cinquecentesca ancora ben conservata al di sotto di vecchie cementine. All'interno delle formelle di cotto erano state innestate antiche sepolture, volutamente protette durante l'ultima ristrutturazione. La continuità della pavimentazione in tutta la navata centrale e in buona parte delle cappelle laterali ha consentito di recuperare l'immagine antica della Chiesa, conservando dove possibile anche le azioni dell'ultima ristrutturazione. A restauro terminato sarà quindi possibile vedere vicini  porzioni di cotto e vecchie cementine, nel rispetto cronologico delle fasi storiche che si sono succedute.

Scegliere cosa conservare, cosa rimuovere per consentire una lettura unitaria del passato e cosa restaurare non è stato facile e proprio in questo il cantiere si è rivelato (e si sta continuamente rivelando) molto complicato, allo stato attuale restano ancora diverse cose da completare come l'intervento di revisione del prospetto principale. Occorre premettere che la parte antica di questo edificio non è certo la sua facciata  benchè ad un avventore poco attento potrebbe sembrare il contrario – ciò nonostante è proprio questa ad essere diventata l'icona dell'edificio per la presenza di un protiro decorato, di un grande rosone, di piccole monofore e soprattutto per l'uso diffuso del mattone che proprio su questo lato palesa nella discontinuità degli innesti laterizi le difficoltà di interpretazione della stratigrafia dell'elevato.

Proprio durante uno dei miei ultimi sopralluoghi mi sono soffermata ad analizzare con attenzione la tessitura muraria della facciata caratterizzata da uno sfalsamento dei giunti, privi della malta di allettamento e molto erosi. La valutazione dei degradi, dell'eventuale sostituzione di alcuni elementi erosi ed irrecuperabili (con tecnica cuci-scuci) e delle tonalità cromatiche da restituire (a seconda dei punti di intervento) mi ha fatto confrontare sul piano lessicale con Aldo Stelladoro, l'impresario che sta curando la parte edile dell'intervento di restauro. 

Il suo uso insistente della parola "bernardino" mi ha molto incuriosito e alla domanda cosa fosse mi ha ancora più incuriosito la risposta "(…) la metà del mezzo (…)". Si rendeva a questo punto  necessario un approfondimento. 

Le composizioni fra gli elementi laterizi rappresentano espressioni figurative nel trattamento delle superfici a vista: stabilita la regola generale della non coincidenza di due giunti verticali appartenenti a corsi contigui, è possibile dar vita a diversi apparecchi murari che portano a soluzioni diverse. Il principio costruttivo è quello di associare elementi laterizi che si “legano“ fra loro per formare connessioni di contiguità geometrica che sfruttano i moduli proporzionali e facilmente interscambiabili delle facce di posa. La versatilità del mattone sta nell'essere utilizzabile in sottomultipli che sono il trequarti, il mezzo o duequarti, il quarto o bernardino, il mezzolungo o il tozzetto.

La pratica può diventare conoscenza, ecco quindi svelato il mistero: con il termine "bernardino", con riferimento alle denominazioni delle riduzioni dei mattoni, si intende "la metà del mezzo" o il cosiddetto quartino.

 

 

 

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